Robert Hromec è consapevole che lo specchio sia un oggetto semioforo, una forma invisibile che rende visibile… l’invisibile. Nei suoi lavori, risulta essere quella metafora della nostra esistenza che permette di intercettare l’altro da noi, uno stargate dimensionale che separa il mondo reale (superficie) dal mondo riflesso (sostanza). Le sue opere ci spiazzano e ci stupiscono perché non si limitano a riflettere volti oppure oggetti, ma diventano esse stesse entità “une e trine”, grandi riverberi di una dimensione che accoglie, insieme ad alcune immagini, il fruitore, la materia, le forme, il colore e la luce: è come se la superficie moltiplicasse all’infinito mondi differenti.

Hromec si chiede se non sia proprio l’immagine riflessa a rivelare la vera essenza di una persona che, proprio perché immateriale e intangibile, non può mai essere uguale a se stessa. I suoi dipinti ci propongono un percorso percettivo simile a quello di una”casa degli specchi” del luna park: all’interno ci sono solo pareti riflettenti dalle forme più svariate che, accostate e sovrapposte, creano illusioni ottiche di ogni tipo. In certi momenti ci sembra di percepire delle vere e proprie presenze tridimensionali (olografiche), volti e forme che ci appaiono reali, ma che in verità sono altrove. Sant’Agostino scriveva: «Ogni uomo è partecipe della somiglianza divina. Lo spirito umano, se non si abbandona all’illusione dell’immagine allo specchio (inganno del mondo materiale) e predisposte il egre la luce di Dio e di riverberare la sua bellezza»(5). Forse è questo il segreto delle proposte visive di Hromec: lo specchio diventa un portale per trascendere la realtà e immaginare mondi diversi senza rendersi bene conto se ciò che abbiamo intorno a noi è frutto della nostra fantasia o essenza del reale. Oppure entrambe le cose. L’artista è consapevole che alcuni penti fermi esistono, che alcune certezze devono esserci per dare un senso alla nostra esistenza. Uno specchio può alternare un’immagine, ma mai crearla ex novo: ciò che percepiamo, comunque, è parte di noi, è base di un Tutto che va ritrovato attraverso un’esperienza emotiva integrale.

Fino a quando l’uomo non è riuscito a fabbricare vetro piatto, sottile e trasparente, e fino a quando non è stato in grado di stendere uno strato metallico senza che il vetro si rompesse per lo sbalzo termico, non possiamo parlare di specchio per come lo intendiamo oggi. La trasformazione del vetro in specchio avvenne in Europa, se si escludono i primi esemplari in epoca romana, nel XIII sec. all’interno di vetrerie mittleuropee e italiane. Lo specchio, metafora presente in tutta la cultura medievale, deve il suo successo alle evoluzioni della sua produzione nell’arte: dal 1100 al 1300, infatti, la Scuola Francescana di Oxford diventò punto di riferimento di questi studi. Durante il Medioevo, i ritmi della quotidianità erano scanditi dalla Natura e dalla Chiesa. Il termine specchio, in effetti, era fortemente legato alla religione, ai relativi riferimenti simbolici e rappresentava la traccia certa della presenza di una realtà immateriale nel visibile nei vari gradi della conoscenza. Conoscere è rispecchiare, passare da una visione sensibile alla consapevolezza del non visibile.

Nel tardo Medioevo, la fabbricazione del vetro era circondata dalla stessa aura di mistero che accompagnava la ricerca della pietra filosofale. In un contesto come quello, lo specchio diventava “rivelatore”: un monito nei confronti di chi era fasullo e un invito a vedere se stessi e il mondo per come erano realmente, senza trascurare i lati nascosti dell’universo. Nel Nuovo Testamento, nella seconda lettera ai Corinzi, San Paolo afferma che i credenti potranno vedere la Gloria del Signore come in uno specchio e trasformarsi nella sua stessa immagine (6).

La conoscenza in sé è un grado della conoscenza di Dio: lo specchio medievale offriva all’uomo un modello attraverso il quale disciplinare la sua condotta mostrandogli ciò che era e ciò che avrebbe dovuto essere. «E se la ricerca della perfezione fosse una ricetta per l’infelicità? Nessuno è perfetto, ma questo non dovrebbe impedirci di amare

– il mondo, gli altri o anche noi stessi»(7)?.

5. Sant’Agostino, Le confessioni, Torino, Einaudi, 2000.
6. Comprendere il pensiero di San Paolo non è sempre facile. Le sue Lettere sono
7. H. Suni, Ama ciò che è imperfetto, Milano, Mondadori, 2019

Maurizio Vanni